LE LEGGI SANGUINARIE
Karl Marx
arteideologia raccolta supplementi
nomade n. 2 dicembre 2008
QUESTA CITTA'
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3. Legislazione sanguinaria contro gli espropriati dalla fine del secolo XV in poi. Leggi per l’abbassamento dei salari.

Non era possibile che gli uomini scacciati dalla terra per lo scioglimento dei seguiti feudali e per l’espropriazione violenta e a scatti, divenuti eslege, fossero assorbiti dalla manifattura al suo nascere con la stessa rapidità con la quale quel proletariato veniva messo al mondo.
D’altra parte, neppure quegli uomini lanciati all’improvviso fuori dall’orbita abituale della loro vita potevano adattarsi con altrettanta rapidità alla disciplina della nuova situazione. Si trasformarono così, in massa, in mendicanti, briganti, vagabondi, in parte per inclinazione, ma nella maggior parte dei casi sotto la pressione delle circostanze.
Alla fine del secolo XV e durante tutto il secolo XVI si ha perciò in tutta l’Europa occidentale una legislazione sanguinaria contro il vagabondaggio. I padri dell’attuale classe operaia furono puniti, in un primo tempo, per la trasformazione in vagabondi e in miserabili che avevano subito. La legislazione li trattò come delinquenti «volontari » e partì dal presupposto che dipendesse dalla loro buona volontà il continuare a lavorare o meno nelle antiche condizioni non più esistenti.
In Inghilterra questa legislazione cominciò sotto Enrico VII.
Enrico VIII, 1530: i mendicanti vecchi e incapaci di lavorare ricevono una licenza di mendicità. Ma per i vagabondi sani e robusti frusta invece e prigione. Debbono esser legati dietro a un carro e frustati finchè il sangue scorra dal loro corpo; poi giurare solennemente di tornare al loro luogo di nascita oppure là dove hanno abitato gli ultimi tre anni e « mettersi al lavoro » (to put himself to labour).
Che ironia crudele! 27 Enrico VIII, viene ripetuto lo statuto precedente, inasprito però da nuove aggiunte. Quando un vagabondo viene colto sul fatto una seconda volta, la pena della frustata deve essere ripetuta e sarà reciso mezzo orecchio; alla terza ricaduta invece il vagabondo dev’essere considerato criminale indurito e nemico della comunità e giustiziato come tale.
Edoardo VI: uno statuto del suo primo anno di governo, 1547, ordina che se qualcuno rifiuta di lavorare dev’essere aggiudicato come schiavo alla persona che l’ha denunciato come fannullone.
Il padrone deve nutrire il suo schiavo a pane e acqua, bevande deboli e scarti di carne a suo arbitrio. Ha il diritto di costringerlo a qualunque lavoro, anche al più ripugnante, con la frusta e con la catena.
Se lo schiavo si allontana per 15 giorni, viene condannato alla schiavitù a vita e dev’essere bollato a fuoco sulla fronte o sulla guancia con la lettera S; se fugge per la terza volta, dev’essere giustiziato come traditore dello Stato. Il padrone lo può vendere, lasciare in eredità, affittarlo a terze persone come schiavo, alla stregua di ogni altro bene mobile o capo di bestiame.
Se gli schiavi intraprendono qualcosa contro il padrone, anche in tal caso saranno giustiziati. I giudici di pace hanno il compito di far cercare e perseguire i bricconi, su denuncia. Se si trova che un vagabondo ha oziato per tre giorni, sarà portato al suo luogo di nascita, bollato a fuoco con ferro rovente con il segno V sul petto, e adoprato quivi, in catene, a pulire la strada o ad altri servizi. Se il vagabondo dà un luogo di nascita falso, rimarrà per punizione schiavo a vita di quel luogo, dei suoi abitanti o della sua corporazione, e sarà marchiato con una S. Tutte le persone hanno il diritto di togliere ai vagabondi i loro figlioli e di tenerli come apprendisti, i ragazzi fino ai 24 anni, le ragazze fino ai 20. Se scappano, dovranno essere schiavi, fino a quell’età, dei maestri artigiani che possono incatenarli, frustarli, ecc., ad arbitrio. Ogni padrone può metter al collo, alle braccia o alle gambe del suo schiavo un anello di ferro per poterlo conoscere meglio e per esserne più sicuro.221
L’ultima parte di questo statuto prevede che certi poveri debbano ricevere occupazione presso il luogo o presso gli individui che danno loro da mangiare e da bere e che sono disposti a trovar loro lavoro. Questa specie di schiavi della parrocchia si è conservata in Inghilterra fin al XIX secolo molto inoltrato, col nome di roundsrnen (uomini a disposizione).
Elisabetta, 1572: i mendicanti senza licenza e di più di 14 anni di età debbono essere frustati duramente e bollati a fuoco al lobo dell’orecchio sinistro, se nessuno li vuol prendere a servizio per due anni; in caso di recidiva e quando siano al di sopra dei diciotto anni debbono esser.., giustiziati, se nessuno li vuol prendere a servizio per due anni; ma alla terza recidiva debbono essere giustiziati come traditori dello Stato, senza grazia. Statuti simili: 18, Elisabetta, c. 13 e 1597 221a.
Giacomo I. Una persona che va chiedendo in giro elemosina viene dichiarata briccone e vagabondo. I giudici di pace nelle Petty sessions (Tribunali locali.)  sono autorizzati a farla frustare in pubblico e a incarcerarla, la prima volta per sei mesi, la seconda per due anni. Durante l’incarceramento sarà frustata quante volte e nella misura che i giudici di pace riterranno giusta... I vagabondi incorreggibili e pericolosi debbono essere bollati a fuoco con una R sulla spalla sinistra e messi ai lavori forzati; se vengono sorpresi ancora a mendicare, debbono essere giustiziati, senza grazia. Queste ordinanze, che hanno fatto legge fino ai primi anni del secolo XVIII, sono state abolite soltanto da 12, Anna, c. 23.
Leggi simili in Francia, dove alla metà del secolo XVII si era stabilito a Parigi un reame dei vagabondi (royaume des truands). Ancora nel primo periodo di Luigi XVI (ordinanza del 13 luglio 1777) ogni uomo di sana costituzione dai sedici ai sessant’anni, se era senza mezzi per vivere e senza esercizio di professione, doveva essere mandato in galera. Analogamente lo statuto di Carlo V dell’ottobre 1537 per i Paesi Bassi, il primo editto degli stati e delle città d’Olanda del 19 marzo 1614, il manifesto delle Province Unite del 25 giugno 1649, ecc.
Così la popolazione rurale espropriata con la forza, cacciata dalla sua terra, e resa vagabonda, veniva spinta con leggi fra il grottesco e il terroristico a sottomettersi, a forza di frusta, di marchio a fuoco, di torture, a quella disciplina che era necessaria al sistema del lavoro salariato.
Non basta che le condizioni di lavoro si presentino come capitale a un polo e che all’altro polo si presentino uomini che non hanno altro da vendere che la propria forza-lavoro. E non basta neppure costringere questi uomini a vendersi volontariamente. Man mano che la produzione capitalistica procede, si sviluppa una classe operaia che per educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi naturali ovvie le esigenze di quel modo di produzione. L’organizzazione del processo di produzione capitalistico sviluppato spezza ogni resistenza; la costante produzione di una sovrappopolazione relativa tiene la legge dell’offerta e della domanda di lavoro, e quindi il salario lavorativo, entro un binario che corrisponde ai bisogni di valorizzazione del capitale; la silenziosa coazione dei rapporti economici appone il suggello al dominio del capitalista sull’operaio. Si continua, è vero, sempre ad usare la forza extraeconomica, immediata, ma solo per eccezione. Per il corso ordinario delle cose l’operaio può rimanere affidato alle « leggi naturali della produzione », cioè alla sua dipendenza dal capitale, che nasce dalle stesse condizioni della produzione, e che viene garantita e perpetuata da esse. Altrimenti vanno le cose durante la genesi storica della produzione Capitalistica. La borghesia, al suo sorgere, ha bisogno del potere dello Stato, e ne fa uso, per « regolare » il salario, cioè per costringerlo entro limiti convenienti a chi vuol fare del plusvalore, per prolungare la giornata lavorativa e per mantenere l’operaio stesso a un grado normale di dipendenza. È questo un momento essenziale della cosiddetta accumulazione originaria.
La classe degli operai salariati, che è sorta nella seconda metà del secolo XIV, formava allora e nel secolo successivo soltanto un elemento costitutivo molto ristretto dalla popolazione, e la sua posizione aveva una forte protezione nella proprietà contadina autonoma nelle campagne e nell’organizzazione corporativa nelle città. Tanto nelle campagne che nelle città padroni e operai erano socialmente vicini. La subordinazione del lavoro al capitale era solo formale, cioè il modo di produzione stesso non aveva ancora carattere specificamente capitalistico. L’elemento variabile del capitale prevaleva fortemente su quello costante. La richiesta di lavoro salariato cresceva dunque rapidamente ad ogni accumulazione del capitale, mentre l’offerta di lavoro salariato seguiva solo lentamente.

Una parte notevole del prodotto nazionale, più tardi trasformata in fondo di accumulazione del capitale, allora passava ancora nel fondo di consumo dell’operaio.
La legislazione sul lavoro salariato, che fin dalla nascita mira allo sfruttamento dell’operaio e gli è sempre egualmente ostile222 man mano che progredisce, viene inaugurata in Inghilterra dallo Statute of Labourers di Edoardo III 1349. Le corrisponde in Francia l’ordinanza del 1350, promulgata in nome di re Giovanni. Le legislazioni inglese e francese si svolgono parallelamente e sono identiche per il contenuto. Non ritorno sulla parte degli statuti operai che cerca di imporre un prolungamento della giornata lavorativa poichè questo punto è stato già esaminato (capitolo 8., 5).
Lo Statute of Labourers fu promulgato per le insistenti lamentele della Camera dei Comuni. «Prima », dice ingenuamente un tory, « i poveri esigevano un salario così alto da minacciare l’industria e la ricchezza. Ora il salario è così basso da minacciare ancora l’industria e la ricchezza, ma in maniera diversa e forse più pericolosa di prima»223. Venne stabilita una tariffa legale dei salari per la città e per la campagna, per il lavoro a cottimo e per quello a giornata. Gli operai rurali devono impegnarsi per un anno, quelli di Città « a mercato aperto ». Viene proibito, pena la prigione, di pagare un salario più alto di quello statutario, ma è punito più gravemente chi riceve il salario più alto che non chi lo paga. Così, ancora nelle sezioni 18 e 19 dello statuto degli apprendisti di Elisabetta viene punito con dieci giorni di prigione chi paga un salario più alto, ma è punito con ventuno giorni chi l’accetta. Uno statuto del 1360 aggravava le pene e autorizzava addirittura il padrone a estorcere lavoro alla tariffa legale mediante costrizione fisica. Tutte le combinazioni, i contratti, giuramenti ecc. coi quali muratori e falegnami si vinco lavano reciprocamente vengono dichiarati nulli. La coalizione fra operai viene trattata come delitto grave a partire dal secolo XIV fino al 1825, anno dell’abolizione delle leggi contro le coalizioni. Lo spirito dello statuto operaio del 1349 e dei suoi rampolli risplende chiaro nel fatto che viene imposto in nome dello Stato un massimo di salario, ma non, per carità!, un minimo.
Nel secolo XVI la situazione degli operai era, come si sa, molto peggiorata. Il salario in denaro saliva, ma non in proporzione del deprezzamento del denaro e del corrispondente aumento del prezzo delle merci. In realtà dunque il salario calava. Tuttavia le leggi miranti a tenerlo basso perduravano, e perdurava il taglio dell’orecchio e il bollo a fuoco per coloro «che nessuno voleva prendere a servizio ». Con lo statuto degli apprendisti 5, Elisabetta, c. 3, i giudici di pace ebbero il potere di stabilire certi salari e di modificarli a seconda delle stagioni e dei prezzi delle merci. Giacomo I estese questo regolamento del lavoro anche ai tessitori, filatori e a tutte le possibili categorie di operai224; Giorgio II estese le leggi contro le coalizioni operaie a tutte le manifatture.
Nel periodo manifatturiero propriamente detto il modo di produzione capitalistico era divenuto abbastanza forte da render tanto inattuabile quanto superflua una regolamentazione legale del salario, ma non si volle rinunciare alle armi del vecchio arsenale in caso di necessità. Ancora 8, Giorgio II, proibiva un salario giornaliero superiore ai 2 scellini 7 pence e mezzo ai garzoni dei sarti di Londra e dintorni, se non nel caso di lutto generale; ancora 13, Giorgio III, c. 68, affidava ai giudici di pace la regolamentazione del salario dei tessitori di seta; ancora nel 1796 ci volevano due giudici dei tribunali superiori per decidere se gli ordini dei giudici di pace sul salario lavorativo fossero validi anche per operai non agricoli; ancora nel 1799 un Atto del parlamento confermava che il salario degli operai delle miniere di Scozia era regolato da uno statuto di Elisabetta e da due Atti scozzesi del 1661 e del 1671. Ma un incidente senza precedenti alla Camera bassa inglese dimostrò quanto la situazione fosse rovesciata. Alla Camera dei Comuni, che da più di 400 anni aveva fabbricato leggi sul massimo che il salario non doveva assolutamente superare, il Whitbread propose nel 1796 un minimo di salario legale per gli operai giornalieri agricoli. Il Pitt si oppose, ma ammise che la « situazione dei poveri era crudele (cruel) ». Finalmente nel 1813 vennero abolite le leggi sulla regolamentazione dei salari. Esse erano un’anomalia ridicola, da quando il capitalista regolava la fabbrica con la sua legislazione privata e faceva integrare con la tassa dei poveri il salario dell’operaio agricolo fino al minimo indispensabile. Le disposizioni degli statuti operai sui contratti fra padroni e operai, sui licenziamenti a termine, ecc., che consentono- la querela per rottura di contratto solo in un tribunale civile se contro il padrone, ma in tribunale penale se contro l’operaio, rimangono ancora in pieno vigore anche oggi.
Le atroci leggi contro le coalizioni sono cadute nel 1825 di fronte all’atteggiamento minaccioso del proletariato. Però caddero solo in parte. Alcuni bei residui dei vecchi statuti sono scomparsi solo nel 1859. E finalmente l’Atto del parlamento del 29 giugno 1871 pretende di eliminare- le ultime tracce di quella legislazione di classe con il riconoscimento legale delle Trades’ Unions. Ma un Atto del parlamento della stessa data (An act to amend the criminal law relating to violence, threats and molestation) ristabiliva di fatto la vecchia situazione in nuova forma.
Con questo giuoco di prestigio parlamentare i mezzi dei quali gli operai possono servirsi in uno sciopero o in un lock-out (sciopero dei fabbricanti coalizzati con contemporanea chiusura delle fabbriche) venivano di fatto sottratti al diritto comune e posti sotto una legislazione penale eccezionale, la cui interpretazione spettava ai fabbricanti stessi nella loro qualità di giudici dì pace. La stessa Camera dei Comuni e lo stesso signor Gladstone avevano con la nota onestà presentato due anni prima un disegno di legge per l’abolizione di tutte le leggi penali d’eccezione contro la classe operaia. Ma il disegno non fu fatto arrivare oltre la seconda lettura, e in tal modo la cosa fu trascinata per le lunghe finchè alla fine il « grande partito liberale » trovò, per mezzo di un’alleanza con i tories, il coraggio di volgersi decisamente contro quello stesso proletariato che l’aveva condotto al potere. Non soddisfatto di questo tradimento, il «grande partito liberale » permise ai giudici inglesi, sempre compiacenti al servizio delle classi dominanti, di riesumare le leggi perente sulle «cospirazioni» e di applicarle alle coalizioni operaie. Si vede dunque che il parlamento inglese ha rinunciato solo di controvoglia e sotto la pressione delle masse alle leggi contro gli scioperi e le Trades’ Unions, dopo aver tenuto esso stesso, per cinque secoli, con egoismo spudorato, la posizione di una Trade Union permanente dei capitalisti contro gli operai.
Fin dall’inizio della tempesta rivoluzionaria la borghesia francese osò sottrarre agli operai il diritto d’associazione che si erano appena conquistato.
Con decreto del 14 giugno 1791 la borghesia dichiarò che ogni coalizione operaia era un « attentato contro la libertà e la dichiarazione dei diritti dell’uomo », punibile con 500 livres di multa e con la privazione dei diritti civili attivi per un anno225
Questa legge che costringe, con una misura di polizia statale, entro limiti comodi al capitale la lotta di concorrenza fra capitale e lavoro, è sopravvissuta a rivoluzioni e a cambiamenti dinastici. Perfino il Terrore la lasciò intatta.
Solo di recente è stata cancellata dal codice penale Non c’e niente di più caratteristico del pretesto di questo colpo di Stato borghese.
Dice il relatore, Le Chapelier: « Benché sia desiderabile che il salario diventi un po’ più elevato di quello che è in questo momento, affinchè colui che lo riceve sia fuori di quella dipendenza assoluta, causata dalla privazione dei mezzi di sussistenza necessari, che è quasi la dipendenza della schiavitù» gli operai non debbono tuttavia accordarsi sui loro interessi, non debbono agire in comune moderando cosi quella loro « assoluta dipendenza che e quasi schiavitù », perchè con ciò essi ledono appunto « la libertà dei loro c i - d e v a n t  m a î t r e s, degli attuali imprenditori » (la libertà di mantenere gli operai in schiavitù!), e perché una coalizione contro il dispotismo degli antichi padroni delle corporazioni - indovinate - e un ristabilimento delle corporazioni abolite dalla costituzione francese!226

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Il Capitale, Libro I, sez. VII, cap. ventiquattresimo, paragrafo 3
221 - L’autore dell’Essay on Trade ecc, del 1770 osserva:  «Sotto il governo di Edoardo VI sembra che gli inglesi si siano di fatto messi molto seriamente a incoraggiare le manifatture e a dare occupazione ai poveri. Lo vediamo da un notevole statuto secondo il quale tutti i vagabondi       devono essere bollati a fuoco» ecc. (ivi, p. 8).
221a - Tommaso Moro dice nella sua Utopia [ 41, 42]: « ... Senza giovare alla repubblica, anzi noiandola, rovinano le case, abbattono le terre per lasciare alle pecore più larghi paschi. Come se occupassero poco terreno le selve e i vivai, quei buoni uomini fanno dei luoghi abitati e coltivati     un deserto. Così, perchè un insaziabile divoratore rinchiuda infiniti campi, sono cacciati i lavoratori, o con inganni privati dei loro beni, o con ingiurie continue astretti a venderli. Così pure sono i miseri forzati a partirsi, maschi e femmine, mogli e mariti, orfani e vedove, padri con i piccoli flgliuoli e famiglia piuttosto numerosa che ricca. Si partono, dico, dai soliti luoghi senz’aver dove ridursi; le povere masserizie sono vendute a vil prezzo; il quale poichè hanno in breve tempo consumato errando qua e là, che altro possono fare che rubare ed essere appiccati, vedete voi con qual giustizia? ovvero mendicare? Benché allora sono imprigionati come poltroni che non vogliono lavorare; e quantunque essi più che volentieri lavorerebbero, essendo condotti al lavoro» [Utopia di TOMMASO MORO cancelliere d’Inghilterra (trad. G. B. Doni), Milano, 1821, pp. 16-17]. Di questi poveri profughi, di cui Tommaso Moro dice che erano costretti a rubare, «72.000 grandi e piccoli ladri furono giustiziati sotto Enrico VIII» (HOLINSHED, Description of England, vol. I, p. 186). Ai tempi di Elisabetta «i vagabondi venivano impiccati in fila, ma di solito non trascorreva anno in cui non divenissero vittime della forca in un posto o nell’altro dai 300 ai 400 di loro» (STRYPE, Annals of the Reformation and Establishment of Religion, and other Various Occurrences in the Church of England during Queen Elisabeth’s Happy Reign, 2. ed., 1725, vol. II). Secondo lo stesso Strype, nel Somersetshire, in un solo anno, furono giustiziate 40 persone, bollate a fuoco 35, frustate 37, e 183 « bricconi disperati» a furono rilasciati. Tuttavia, egli dice,       «questo grande numero di accusati non comprende un quinto dei delitti contro le persone, grazie alla noncuranza dei giudici di pace e alla sciocca pietà del popolo». E aggiunge: «Le altre contee d’Inghilterra non erano in una situazione migliore di quella del Somersetshire e molte si trovavano anche in condizioni peggiori».
222 - « Tutte le volte che il legislatore tenta di regolare le differenze fra gli imprenditori (masters) e i loro operai, i suoi consiglieri sono sempre gli imprenditori», dice A. Smith. «Lo spirito delle leggi è la proprietà», dice il Linguet.
223 - [J. B. BYLES], Sophisms of Free Trade. By a Barrister, Londra, 1850, p. 206. Egli aggiunge maliziosamente: «Eravamo sempre pronti a intervenire per il padrone. Non si può far niente per l’operaio? ».
224 - Da una clausola dello statuto di Giacomo I, 2, cap. 6, risulta che certi pannaioli si arrogavano di imporre ufficialmente la tariffa dei salari nei propri laboratori, nella loro qualità di giudici di pace. In Germania gli statuti per tener bassi i salari furono frequenti soprattutto dopo la guerra dei Trent’anni. «Molto fastidosa era pei proprietari fondiari, nelle terre spopolate, la mancanza di servitori e di operai. A tutti gli abitanti dei villaggi era proibito affittare camere a uomini e donne non sposati; tutti i residenti di questo tipo dovevano esser denunciati all’autorità e messi in prigione nel caso che non volessero diventare servitori, anche se si mantenevano con altra attività, se facevano la semina ai contadini a paga giornaliera, o se addirittura trafficavano col denaro e col grano (Privilegi e sanzioni imperiali per la Slesia, I, 125). Per tutt’un secolo nelle ordinanze dei principi territoriali continuano sempre a ritornare aspre lamentele sulla canaglia maligna e impertinente che non vuole adattarsi alle dure condizioni, non vuole accontentarsi del salario legale; al singolo proprietario fondiario viene proibito di dare più di quanto è stato stabilito per il territorio. Eppure dopo la guerra le condizioni del servizio sono a volte ancor migliori di quel che saranno cento anni dopo; ancora nel 1652 in Slesia la servitù aveva carne due volte alla settimana, e ancor nel nostro secolo nella stessa regione ci sono state delle circoscrizioni nelle quali la servitù aveva carne solo tre volte all’anno. Anche il salario giornaliero dopo la guerra dei Trenta anni era più elevato che nei secoli successivi» (G. FREYTAG, [Neue Bilder aus dem Leben des deutschen Volkes, Lipsia, 1862, pp. 34, 35]).
225 - L’articolo I di questa legge suona: «Poichè l’annullamento di ogni specie di corporazione di cittadini dello stesso ceto e della stessa professione è una delle basi fondamentali della costituzione francese, è proibito ristabilir di fatto, sotto qualunque pretesto e sotto qualunque forma». L’articolo IV dichiara: «Se dei cittadini che esercitano le stesse professioni, arti e mestieri prendono deliberazioni, fanno convenzioni tendenti a rifiutare d’accordo o a concedere soltanto a un prezzo determinato l’ausilio della loro industria o del loro lavoro, le dette deliberazioni e convenzioni... verranno dichiarate incostituzionali, attentati alla libertà e alla dichiarazione dei diritti dell’uomo ecc», cioè delitti contro lo Stato, proprio come negli antichi statuti operai (Révolutions de Paris, Parigi, 1791, voI. III, p. 523).
226 – Buche De Roux, Histoire Parlementaire, vol. X, pp. 193-195 passim
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